Siamo orgogliosi di aprire con una nuova rubrica che ogni due settimane sarà pubblicata dal nostro Dott. Emanuele Sigismondi. Questa settimana si occuperà di Welfare e di Assicurazioni. Buona lettura a tutti voi e un grazie sentito ad Emanuele Sigismondi.
Sanità, assistenza, previdenza. Sono queste alcune della parole chiave, le prime due in particolare, che emergono dalla relazione annuale “Welfare Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali” presentata da Censis il 9 luglio 2014. Il documento è stato redatto nel più ampio contesto di un progetto iniziato nel 2010 in collaborazione con Unipol e dettato dall’esigenza, manifestata dalla compagnia bolognese, di fotografare il livello del welfare in Italia, il livello di consapevolezza degli italiani in merito al proprio futuro, le strade fino ad oggi percorse e soprattutto quelle percorribili.
Non è la prima volta che ci troviamo di fronte a proiezioni relative alla possibilità di crescita di nuovi, o riesumati, business assicurativi ma, differentemente dal passato, si ha la sensazione che in questo caso non si tratti di ottimismo pubblicitario fine a sé stesso ma di proposte sensate, sorrette da una solida base empirica. Sviluppi pratici enormi, insomma, a patto che le parole chiave citate all’inizio vengano fatte girare nella serratura giusta e in modo corretto, onde evitare di trovarci un giorno a parlare dell’ennesima occasione sprecata e del mercato assicurativo italiano che stenta sempre a decollare.
Partiamo dal welfare nell’accezione più ampia del termine ovvero sistema previdenziale e sistema sanitario. La relazione 2011 comincia citando un altro indicatore sintetico, elaborato da Censis, focalizzato sulla protezione sociale, sulle risorse che ad essa vengono dedicate e sugli effetti che l’azione protettiva promossa dalla collettività produce sulla popolazione. Su 135 paesi l’Italia risultava 13ma, dietro a paesi dalla forte tradizione di welfare quali Danimarca, Francia, Germania, Norvegia ma davanti a Regno Unito, Spagna, Portogallo e Stati Uniti. Con premessa la relazione del 2011 sottolinea come il nostro sia un buon sistema di welfare nella sua strutturazione, solo, e qui sta il problema, non sostenibile nel lungo periodo. La quota di over 64, ovvero di soggetti che fruiranno del sistema previdenziale, sempre secondo la ricerca, supererà il 26% della popolazione nel 2030. Spostandosi dal lato previdenziale a quello sanitario/assistenziale, il progressivo allungarsi delle aspettative di vita comporterà anche un aumento della disabilità data da malattie cronico-degenerative che si prevede si assesti al 10,7% del totale della popolazione nel 2040 , pari a 6,7 milioni di persone (nel 2010 era al 6,7% per 4,1 milioni di persone).
Torniamo ora brevemente alle aspettative del nostro business assicurativo. Nel 2011 il 70% delle famiglie comprese nel campione dichiarava di aver sostenuto delle spese fuori copertura del servizio sanitario nazionale per l’acquisto di farmaci, il 40% del totale dichiarava di aver sostenuto dei costi extra per prestazioni odontoiatriche e visite mediche specialistiche, il 20% del totale per prestazioni diagnostiche con una spesa media a nucleo familiare di circa 1000 euro, dato che sale a 1418,5 per le famiglie che hanno ricevuto prestazioni odontoiatriche e che scende a 393,2 per quelle che non le hanno ricevute. Significativo il dato, reso noto dalla relazione 2014 di come, a fronte di una spesa sanitaria pubblica rimasta invariata, la spesa sanitaria privata sia aumentata del 3,1% tra il 2007 e il 2013, dato ancora più importante considerando che, nello stesso periodo di tempo, la spesa complessiva delle famiglie calava del 7,6%.
Questo fenomeno di sostenimento personale delle spese sanitarie è detto “out of pocket” e all’estero, sempre secondo la relazione 2014, è intermediato, per una grossa percentuale, dalle compagnie assicurative, per il 43% in Germania e per il 65,8% in Francia, mentre in Italia l’intermediazione assicurativa per le spese sanitarie “out of pocket” ammonta appena al 13%. Logico quindi che il business assicurativo si debba concentrare su questa enorme percentuale di spesa sanitaria, autogestita dai singoli utenti sostanzialmente attraverso risparmi personali o attraverso prestiti familiari. Se vogliamo però cogliere il business nella sua interezza tutto questo possibile mercato non basta, è necessario fare un passo ulteriore e quel passo è l’inizio di una collaborazione pubblico privato per andare a coprire le necessità di coloro che anche dal welfare privato restano esclusi. La relazione 2014 evidenzia infatti come nel corso del 2013 e dell’anno in corso, con l’aggravarsi della crisi, il 48% delle famiglie abbia dovuto rinunciare ad almeno una prestazione medica. Non si tratta solo di un problema strettamente reddituale ma di un problema se vogliamo “generazionale” riferito a quella fascia più giovane di lavoratori sui quali i costi della crisi sono gravati maggiormente in termini di atipicità contrattuale e mancanza di sicurezza economica futura con i vari costi aggiuntivi di mutui e affitti. Nell’assicurativo insomma, sempre secondo gli sviluppi della relazione, si possono trovare le risposte per soddisfare le esigenze di un sistema creando degli strumenti accessibili ad un numero maggiore di utenti e andando a generare lavoro e reddito in un settore, considerato economicamente una palla al piede che invece potrebbe essere tramutato in un motore economico di ripartenza.
Ovviamente il sistema non si ferma al welfare sanitario. Analizzeremo gli altri aspetti tra quindici giorni. Vi auguro una splendida settimana.
Emanuele Sigismondi
Assicurazioni: ripartiamo dal Welfare – Emanuele Sigismondi

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