Assicurazione del cane. Cassazione, Se le clausole sono dubbie va preferita l’interpretazione più rispondente a buona fede.
Corte di Cassazione civile, sezione terza, sentenza n. 18349 del 27 Agosto 2014.
E’ operativa la polizza assicurativa per la responsabilità civile, comprendente la copertura per eventi dannosi legati alla proprietà di un cane, se questo provoca la caduta di una persona anche fuori dalle mura domestiche.
Lo afferma la Corte di Cassazione che si è occupata del caso di un proprietario di un cane che è stato condannato – sentenza confermata anche in appello – al risarcimento del danno nei confronti di una signora, caduta a seguito della presenza del cane legato a una catena nel cortile dell’azienda presso cui il padrone prestava servizio.
I giudici di merito non avevano accolto però la domanda di manleva nel confronti della compagnia di assicurazioni, proposta dal proprietario.
Poiché dal testo di polizza, secondo l’interpretazione dei giudici di merito, sarebbe emerso che la copertura avrebbe operato soltanto nell’ambito della “vita familiare” dell’assicurato, la circostanza che il cane fosse presente in azienda – nonostante fosse stato provato che lo stesso non avrebbe svolto attività abituale di “guardia” né che sarebbe stato ivi condotto con regolarità dal suo padrone – avrebbe di conseguenza escluso la copertura assicurativa.
Secondo la Suprema corte tale interpretazione sarebbe del tutto arbitraria poiché, in riferimento al cane, non sarebbe stata presente alcuna limitazione riferibile alla vita privata del proprietario; inoltre, “la polizza comprendeva espressamente il rischio derivante dalla proprietà del cane”.
Conferma la Corte che sarebbe altresì arbitrario interpretare il termine “abitazione” (effettivamente presente in polizza) come non estendibile al luogo di lavoro abituale, da considerarsi comunque una parte della “vita privata”.
In ogni caso, al di là delle considerazioni di merito – non sindacabili in sede di ricorso in Cassazione – la Suprema corte conclude confermando il principio di diritto secondo il quale “ove l’interpretazione delle clausole di un contratto presenti dei margini di ambiguità, dovrà comunque essere preferita l’interpretazione più rispondente a buona fede (art. 1366 cod. civ.)”. Il ricorso è accolto e la sentenza cassata con rinvio.
Fonte: www.StudioCataldi.it
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