L'Avvocato Gian Carlo Soave risponde: "Risarcibilità del danno morale" - Il Broker.it

L'Avvocato Gian Carlo Soave risponde: "Risarcibilità del danno morale"

Gian Carlo SoaveEccoci anche questa settimana con l’importante rubrica del nostro Avvocato Gian Carlo Soave.
 

Domanda: Gentile Avvocato, come viene risarcito il danno morale?

Risposta: La Corte di Cassazione con sentenza n. 3260/2016 ha stabilito che :“Ai fini della quantificazione equitativa del danno morale, l’utilizzo del metodo del rapporto percentuale rispetto alla quantificazione del danno biologico individuato nelle tabelle in uso, prima della sentenza delle Sez. Un. n. 26972 del 2008, non comporta che accertato il primo, il secondo non abbia bisogno di alcun accertamento, perchè se così fosse si duplicherebbe il risarcimento degli stessi pregiudizi; invece, il metodo suddetto va utilizzato solo come parametro equitativo, fermo restando l’accertamento con metodo presuntivo, attenendo la sofferenza morale ad un bene immateriale, dell’esistenza del pregiudizio subito, attraverso l’individuazione delle ripercussioni negative sul valore uomo sulla base della necessaria allegazione del tipo di pregiudizio e dei fatti dai quali lo stesso emerge da parte di chi ne chiede il ristoro”.
Nella fattispecie, in primo grado, il Tribunale aveva riconosciuto al ricorrente – il conducente di una moto rimasto gravemente infortunato a seguito di un sinistro –  oltre 600.000,00 euro quale risarcimento del danno a seguito di un incidente stradale, ritenendo la responsabilità esclusiva del conducente di un furgone.

Il danneggiato aveva proposto appello incidentale impugnando la sentenza in punto quantificazione del danno non patrimoniale – danno morale soggettivo, quantificato in una percentuale (circa 1/3) del danno non patrimoniale da invalidità permanente, chiedendone l’aumento sino ad 1/2 del danno da invalidità permanente (danno biologico per la lesione dell’integrità psicofisica).

La Corte d’Appello, richiamando la pronuncia a Sezioni Unite (sent. n. 26972/2008), aveva stabilito che il danno morale soggettivo non potesse configurarsi come conseguenza immediata e diretta della durata e dell’intensità della lesione psicofisica, cosicchè, laddove non scompaia del tutto, richiede una “dimostrazione” specifica.
La Corte d’Appello aveva, dunque, ritenuto la responsabilità concorrente dei due conducenti – per due terzi a carico di quello del furgone, per il restante terzo a carico del conducente della moto – determinando il risarcimento nella minor somma di poco più di euro 370.000,00. 
Avverso detta sentenza, il danneggiato è ricorso in Cassazione, contestando la quantificazione del danno non patrimoniale sotto il profilo del danno morale soggettivo, di cui al secondo grado di giudizio, considerato che le lesioni subite si erano tradotte in postumi permanenti nella misura del 60%  per cui la somma liquidata appariva incongrua data la sofferenza psicologica patita nel prendere atto delle proprie condizioni fisiche di grave inabilità (confermate dal riconoscimento dell’invalidità civile al 100% in pendenza di gravame).
Per i giudici di Cassazione, la Corte di merito avrebbe omesso di decidere in ordine all’appello incidentale proposto, non verificando se vi fossero condizioni per valutare la congruità del danno “morale” liquidato e delle condizioni per riconoscerne o negarne l’aumento, sulla base del presupposto che la liquidazione del danno morale soggettivo in primo grado integrasse violazione del principio affermato dalle Sezioni Unite del 2008.
In tal modo, ciò che nella sentenza delle Sezioni Unite richiamata costituiva una mera esemplificazione, è divenuto, nell’ interpretazione di secondo grado, un principio consistente nel divieto dell’utilizzo di quel metodo di quantificazione del danno morale in senso stretto. 
In realtà, la Corte di Appello avrebbe dovuto verificare vari elementi: i pregiudizi patrimoniali risarciti in primo grado con la formula “danno morale” attraverso una quantificazione equitativa, in percentuale al danno non patrimoniale a titolo di lesione dell’integrità psicofisica del danneggiato; la sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé; la sofferenza psicologica patita dal danneggiato nel prendere atto delle proprie condizioni fisiche di grave inabilità, che ne avevano stravolto le abitudini di vita in età giovanissima.
La Cassazione ha quindi affermato che “ai fini della quantificazione equitativa del danno morale, l’utilizzo del metodo del rapporto percentuale rispetto alla quantificazione del danno biologico individuato nelle tabelle in uso, prima della sentenza delle Sez. Un. n. 26972 del 2008, non comporta che, accertato il primo, il secondo non abbia bisogno di alcun accertamento, perché se così fosse si duplicherebbe il risarcimento degli stessi pregiudizi“.
Ed ancora “il metodo suddetto va utilizzato solo come parametro equitativo, fermo restando l’accertamento con metodo presuntivo, attenendo la sofferenza morale ad un bene immateriale, dell’esistenza del pregiudizio subito, attraverso l’individuazione delle ripercussioni negative sul valore uomo sulla base della necessaria allegazione del tipo di pregiudizio e dei fatti dai quali lo stesso emerge da parte di chi ne chiede il ristoro”.
Conclusivamente, la liquidazione del danno morale non deve avvenire secondo automatismi in percentuale al danno biologico per evitareuna duplicazione risarcitoria ma è sempre necessaria una valutazione propria, tramite un accertamento caso per caso dell’esistenza del pregiudizio subito e della sofferenza psicologica patita.

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