La decisione dell’amministratore dell’Unipol, Carlo Cimbri, di uscire dall’associazione di categoria delle assicurazioni (l’Ania) non mette a rumore solo il mondo delle polizze. La scelta annunciata ieri in un’intervista al Sole 24 Ore fa suonare un campanello d’allarme per l’intera rappresentanza delle imprese. Cimbri lamenta l’impossibilità di decidere in Ania a causa di una governance pletorica e poco orientata a produrre decisioni.
Insomma il modello extralarge della rappresentanza che andava fino a qualche anno fa — si pensò addirittura di far entrare l’Abi in Confindustria — non funziona più, i mutamenti dell’economia richiedono azioni di supporto mirate e non generiche.
Una volta si tendeva a incorporare i conflitti di interesse tra singoli segmenti delle imprese, oggi ciò comincia rivelarsi paralizzante. Un caso significativo in materia è stata l’uscita di Federdistribuzione (grandi imprese del commercio) da Confcommercio che rappresenta prevalentemente il dettaglio. Il casus belli, a quel tempo nel 2011, fu l’orientamento sulle liberalizzazioni, considerate necessarie dai grandi e pericolose dai piccoli. Ma se vogliamo anche dentro l’impasse nel quale è piombata Rete Imprese Italia ritroviamo la stessa difficoltà: un grande contenitore che non riesce a far sintesi di tutti gli interessi rappresentati, quelli degli artigiani e quelli dei commercianti. Un esempio? Gli aumenti dell’Iva considerati ieri e oggi come la peste dalle associazioni del commercio e tutto sommato ignorati dagli artigiani. In qualche caso per supplire alla mancata omogeneità delle rivendicazioni scatta la personalità del leader ma oggi anche questo tipo di soluzione intermedia sembra funzionare meno.
Probabilmente siamo solo al primo atto visto che non sappiamo che connotati avrà l’economia del dopo crisi. Intuiamo che le filiere saranno più importanti dei settori e le prime mettono in collegamento imprese manifatturiere, fornitori, distribuzione ma anche liberi professionisti. Come verrà rappresentata questa realtà mista?
Oggi non lo sappiamo e per lo più elenchiamo casi di separazione individuale. Alcuni imprenditori, come Franco Moscetti di Amplifon, conducono da tempo (2009) una loro battaglia critica verso Confindustria, altri come Guido Barilla hanno polemizzato duramente con la conduzione ma sono rimasti sempre dentro. Però guai a farsi prendere solo dai nomi e dimenticare i processi. E in quest’ottica un’ulteriore traccia ce la danno le reazioni seguite all’annuncio di Cimbri. I più preoccupati si sono detti i sindacati di categoria dei lavoratori delle assicurazioni che temono la sortita di Unipol come preludio di una rimessa in discussione del contratto nazionale di lavoro. Detta in breve hanno paura di un replay del caso Fiat quando nell’autunno del 2011 Sergio Marchionne uscì da Confindustria proprio per negoziare con i sindacati un contratto dell’auto più aderente alle esigenze produttive del gruppo torinese.
È chiaro che la crisi ha aumentato la polarizzazione tra le imprese, spaccando il fronte tra chi sa esportare e chi invece lavora solo sul mercato interno. È altrettanto evidente che i primi sono più portati a invocare il taglio delle tasse mentre i secondi sono più attenti ad ottenere provvedimenti di sostegno alla domanda.
Finora questa contraddizione non è esplosa mentre è altrettanto evidente la differenza tra le aziende del made in Italy di qualità che comunque producono un valore aggiunto maggiore e possono ridistribuirlo e invece quei settori che devono fare i conti con una concorrenza globale asfissiante sul costo del lavoro come gli elettrodomestici, la siderurgia e appunto l’auto. Ci sarà un contratto nazionale che possa soddisfare gli uni e gli altri?
Tutti sostengono che la contrattazione va spostata nelle aziende proprio per legare meglio produttività e salari ma non si chiedono come ciò è destinato a cambiare il ruolo delle associazioni. La tradizionale rappresentanza (lobby più immagine) dovrà contaminarsi con elementi di politica industriale dal basso ovvero di puntuale ricognizione dei problemi di un settore o di una filiera.
Fonte: Corriere della Sera
Unipol e l’addio all’Ania, tra crisi e contratti cambia la rappresentanza

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