Come nell’odierna refezione la ricerca ossessiva e frenetica del “fast” produce immancabilmente “junk food”, cibo spazzatura, allo stesso modo la trasformazione del prodotto assicurativo in una sorta di usa-e-getta è all’origine del crescente diffondersi di quanto potremmo definire “junk insurance policies”.
D’altro canto questa è una tendenza generalizzata del processo di mercificazione, insito nella fase di consolidamento del mercato di massa, caratteristico di buona parte del Novecento. Una fase da tempo in via di esaurimento, a fronte dell’emergere di crescenti domande orientate a qualità e personalizzazione; intese quali ragioni prioritarie della propensione all’acquisto a fronte di qualsivoglia offerta. O meglio, la creazione di un secondo mercato, a fianco di quello “fast-junk” dominato dal criterio esclusivo dell’abbattimento dei costi, in cui la domanda si raffina e il prodotto viene valorizzato/impreziosito da una corolla di servizi avanzati. Appunto, la fascia di mercato in cui l’integrazione sinergica prodotto di base – servizi ad hoc, facendo evolvere la “customer satisfaction” in “client loyalty”, determina l’incontro fidelizzato tra una certa offerta qualificata e una certa domanda esigente. Ed è qui che avviene la rivalutazione anche della professione assicurativa; sempre se questa si attrezza a cogliere l’opportunità.
La qualcosa significa predisporre le condizioni per cui il cliente venga indotto a riconoscere nel proprio interlocutore qualcosa di più del semplice venditore di polizze; bensì un vero e proprio consulente.
Potremmo definirlo il proprio “personal risk manager” di fiducia.
Sicché l’assicuratore a misura del Terzo Millennio, oltre che una perfetta conoscenza del proprio settore (sul quale è chiamato a orientare il cliente), deve mettere in campo spiccate attitudini psicologiche. Visto che – come si è già detto altre volte – la definizione del rischio parte sempre da una rappresentazione ansiogena: un fatto percepito e interiorizzato in quanto minaccia. E il nostro risk manager assicurativo, consapevole che il prodotto di qualità è tale se determina al tempo stesso sicurezza (oggettiva) e rassicuramento (soggettivo), deve essere in grado di creare una relazione a base comunicativa in duplice declinazione: “maieutica” (ossia il metodo socratico con cui si aiuta l’interlocutore a mettere ordine nella congerie delle proprie sensazioni) e “razionalizzante” (ossia l’opera scientifica in senso lato, volta a mettere in fila le questioni sull’asse causa/effetti).
Dunque, un’azione sottile e penetrante, attraverso la quale consolidare la fiducia di chi sta prospettando le proprie ansie; che – se coronata da successo – consentirà all’assicuratore psicologo di evolvere da terapeuta (in senso lato) a partner (operativo) del proprio cliente.
D’altro canto questa è una tendenza generalizzata del processo di mercificazione, insito nella fase di consolidamento del mercato di massa, caratteristico di buona parte del Novecento. Una fase da tempo in via di esaurimento, a fronte dell’emergere di crescenti domande orientate a qualità e personalizzazione; intese quali ragioni prioritarie della propensione all’acquisto a fronte di qualsivoglia offerta. O meglio, la creazione di un secondo mercato, a fianco di quello “fast-junk” dominato dal criterio esclusivo dell’abbattimento dei costi, in cui la domanda si raffina e il prodotto viene valorizzato/impreziosito da una corolla di servizi avanzati. Appunto, la fascia di mercato in cui l’integrazione sinergica prodotto di base – servizi ad hoc, facendo evolvere la “customer satisfaction” in “client loyalty”, determina l’incontro fidelizzato tra una certa offerta qualificata e una certa domanda esigente. Ed è qui che avviene la rivalutazione anche della professione assicurativa; sempre se questa si attrezza a cogliere l’opportunità.
La qualcosa significa predisporre le condizioni per cui il cliente venga indotto a riconoscere nel proprio interlocutore qualcosa di più del semplice venditore di polizze; bensì un vero e proprio consulente.
Potremmo definirlo il proprio “personal risk manager” di fiducia.
Sicché l’assicuratore a misura del Terzo Millennio, oltre che una perfetta conoscenza del proprio settore (sul quale è chiamato a orientare il cliente), deve mettere in campo spiccate attitudini psicologiche. Visto che – come si è già detto altre volte – la definizione del rischio parte sempre da una rappresentazione ansiogena: un fatto percepito e interiorizzato in quanto minaccia. E il nostro risk manager assicurativo, consapevole che il prodotto di qualità è tale se determina al tempo stesso sicurezza (oggettiva) e rassicuramento (soggettivo), deve essere in grado di creare una relazione a base comunicativa in duplice declinazione: “maieutica” (ossia il metodo socratico con cui si aiuta l’interlocutore a mettere ordine nella congerie delle proprie sensazioni) e “razionalizzante” (ossia l’opera scientifica in senso lato, volta a mettere in fila le questioni sull’asse causa/effetti).
Dunque, un’azione sottile e penetrante, attraverso la quale consolidare la fiducia di chi sta prospettando le proprie ansie; che – se coronata da successo – consentirà all’assicuratore psicologo di evolvere da terapeuta (in senso lato) a partner (operativo) del proprio cliente.
D’altro canto, tale evoluzione del rapporto professionale verso una sorta di tacita partnership va ben oltre il caso in questione. Infatti, l’epoca post-fordista, in cui la catena di montaggio di prodotti standard viene sostituita dalle isole in cui si assemblano articoli taylor made, su misura, ridisegna radicalmente e a tutti i livelli i modelli di rapporto tra cliente e fornitori. Nella direzione di cui si è parlato riguardo al caso specifico dell’assicuratore psicologo.
Saverio Zavaglia
Saverio Zavaglia
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