Con sentenza n. 4323/2022, la Cassazione ha stabilito che è responsabile del reato di omicidio colposo il medico che lascia sola l’infermiera nella fase di esecuzione della trasfusione con la quale viene somministrato al paziente un gruppo sanguigno incompatibile con il suo.
Nella fattispecie, un medico e un’infermiera venivano imputati per la morte di un paziente per non avere osservato la procedura prevista dal protocollo ospedaliero, effettuando una trasfusione di un tipo di sangue diverso da quello del paziente.
Secondo il Tribunale vi era un nesso di causalità tra condotta dei sanitari e decesso del paziente, per avere la trasfusione di un gruppo sanguigno incompatibile con quello di quest’ultimo fattone precipitare la già gravissima situazione clinica. Procedura che, peraltro, avrebbe dovuto essere effettuata con la sorveglianza del medico, mentre in realtà l’infermiera era rimasta da sola ad effettuare la trasfusione.
Il medico ricorre in Cassazione, rilevando che, stante la gravità della situazione, la trasfusione non è stata la causa del decesso. Inoltre, evidenzia che il controllo della sacca di sangue era stata effettuata alla presenza dell’infermiera, la quale doveva solo collegarla alla cannula inserita nel braccio del paziente. Anche l’infermiera ricorre in Cassazione lamentando l’omesso accertamento delle reali probabilità di sopravvivenza del paziente, da giorni in condizioni gravissime.
Secondo gli Ermellini i ricorsi sono inammissibili: la ricostruzione della vicenda e la dimostrazione del nesso è stata ampiamente argomentata sia in primo che in secondo grado. In particolare, è stato precisato che la presenza del medico al momento della preparazione della trasfusione è richiesta non per evitare errori di valutazione, ma problematiche relative all’esecuzione della procedura.
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