Il danno da vacanza rovinata - Scusa Posso chiederti un parere - Avv. Annalisa Righini - Il Broker.it

Il danno da vacanza rovinata – Scusa Posso chiederti un parere – Avv. Annalisa Righini

Il commento di oggi riguarda il sinistro occorso ad una minore di anni tre durante una vacanza della durata di otto giorni, acquistata dai genitori con la formula del pacchetto turistico “all inclusive”, presso un villaggio vacanza in Sardegna.
Dopo pochi giorni dall’arrivo, la piccola veniva affidata dai genitori alle cure e posta sotto la vigilanza ed il controllo del personale del baby club presente nella struttura.
Durante il periodo di affidamento, la bimba veniva condotta in spiaggia unitamente ad altri bambini, nonostante fosse stato esposto il segnale di pericolo di bandiera rossa; persa di vista dagli animatori a cui era stata affidata, la bimba veniva travolta da una forte onda che ne ha cagionato la caduta in acqua con il conseguente parziale annegamento e sommersione non mortale.
Soccorsa nell’immediatezza, alla piccola venivano praticate le manovre di rianimazione cardiopolmonare e, a seguito dell’arrivo del 118, veniva condotta in un vicino ospedale, ove riceveva le necessarie cure con ricovero presso il reparto di rianimazione, stante gli esiti lesivi derivanti dal sinistro.
La sfortunata vicenda della piccola si presta, ora, ad una serie di approfondimenti inerenti almeno a due profili: il c.d. danno da vacanza rovinata e l’individuazione del soggetto passivo ai fini della formulazione della richiesta risarcitoria.
Quanto al primo, si può affermare che oggi -finalmente- tale tipologia di danno ha trovato una sua compiuta disciplina nel Codice del Turismo, introdotto, con il D. Lgs. n. 79 del 23/05/2011, entrato in vigore a far data dal 21 giugno 2011.
Con questo atto normativo1, il legislatore ha di fatto dato definitiva regolamentazione ad una significativa tematica nell’ambito della responsabilità civile, inserendosi nel solco già tracciato dalla giurisprudenza comunitaria (sentenza della Corte CE 12/03/2002 n. C.-168/00) che, nell’interpretare l’art. 5 Dir. 13/06/1990 n. 90/314/CEE ha stabilito che il consumatore ha diritto al risarcimento del danno morale derivante dall’inadempimento o dalla cattiva esecuzione delle prestazioni fornite in esecuzione di un contratto turistico rientrante nel campo di applicazione della direttiva.
Ora, quindi, il riferimento normativo nazionale è contenuto nell’art. 47 del Codice del Turismo, testualmente rubricato “danno da vacanza rovinata”, che stabilisce: “nel caso in cui l’inadempimento o inesatta esecuzione delle prestazioni che formano oggetto del pacchetto turistico non sia di scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 del codice civile, il turista può chiedere, oltre ed indipendentemente dalla risoluzione del contratto, un risarcimento del danno correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso ed all’irreparabilità dell’occasione perduta”.
Tale norma tutela, quindi, il turista relativamente al pregiudizio subito nell’interesse a godere del viaggio organizzato come occasione di piacere, riposo e derivante dall’inesatta o dalla mancata esecuzione delle obbligazioni riconducibili al pacchetto turistico.
Importante è il riferimento all’art. 1455 del cod. civ.2 che impone una soglia minima di tolleranza, ispirata ai più generali doveri di solidarietà sanciti dall’art. 2 della Costituzione, secondo cui la richiesta di risarcimento di danni non patrimoniali per disagi e fastidi di minima entità contrasterebbe con i principi di correttezza e buona fede e di contemperamento dei contrapposti interessi.
Valutare se vi sia stato o meno il superamento della soglia minima di tolleranza applicabile al turista è operazione da effettuarsi caso per caso e demandata alla discrezionalità del giudice chiamato a comporre la lite, il quale dovrà verificare quale fosse la finalità turistica sottesa alla sottoscrizione del contratto.
Secondo, infatti, la giurisprudenza ormai consolidata sul punto la finalità turistica, costituente il parametro di riferimento per il giudicante, qualifica il contratto “determinando l’essenzialità di tutte le attività e dei servizi strumentali alla realizzazione del preminente scopo vacanziero”3.
Infatti, alle specifiche esigenze di svago e relax tipicamente connesse al concetto di vacanza che identificano, qualificandola, la c.d. finalità turistica, vine attribuita una notevole importanza poiché rappresentativa di quegli interessi a tal punto rilevanti per la parte/turista, all’interno dello schema contrattuale, da divenirne elemento centrale, incidente sulla causa -ovvero sulla ragione- concreta del contratto, poiché tali esigenze si intrecciano indissolubilmente con il senso stesso dell’affare posto in essere.
In tal senso si veda anche Cass. Civ., sez. III, 11/05/2012 n. 7256 secondo cui “la prova del danno patrimoniale da vacanza rovinata, inteso come disagio psico-fisico conseguente alla mancata realizzazione, in tutto o in parte, della vacanza programmata, è validamente fornita dal viaggiatore mediante dimostrazione dell’inadempimento del contratto di pacchetto turistico, non potendo formare oggetto di prova diretta gli stati psichici dell’attore, desumibili, peraltro, dalla mancata realizzazione della finalità turistica e dalla concreta realizzazione della finalità turistica e dalla concreta regolamentazione contrattuale delle attività e dei servizi prestati, essenziali alla realizzazione dello scopo vacanziero”.
La casistica giurisprudenziale sul danno da vacanza rovinata è estremamente variegata, ma riporta come minimo comune denominatore la rilevanza della finalità turistica compromessa.
Sovente, ad esempio, il pregiudizio deriva dalla non corrispondenza dello stato dei luoghi, così come descritto nella brochure informativa rispetto a quello riscontrato effettivamente in loco, oppure quando la struttura presentata in catalogo come un “cinque stelle” non presenti le caratteristiche della categoria corrispondente; ed ancora, rientra nella disciplina in commento il caso di un turista, appassionato di immersioni subacquee, che aveva acquistato il pacchetto turistico al precipuo scopo di effettuare tale attività, peraltro anche contrattualmente segnalata dallo stesso, che poi giunto in loco si è visto negare tale possibilità, poiché in quel periodo le immersioni erano vietate.
Rientra pienamente nella casistica, quindi, anche il danno subito dalla famiglia protagonista del caso descritto all’inizio di questo commento, poiché la vicenda purtroppo accaduta presenta tutti i caratteri propri della risarcibilità del danno da vacanza rovinata.
Infatti, quello da vacanza rovinata viene inteso come danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale, il cui riferimento è per l’appunto l’art. 47 del Codice del Turismo nella parte in cui stabilisce che il turista può richiedere oltre ed indipendentemente dalla risoluzione del contratto, un risarcimento del danno correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso ed all’irreparabilità dell’occasione perduta.
Ribadito il concetto già sovra esposto secondo cui l’inadempimento deve arrecare un pregiudizio apprezzabile, è evidente che nel caso de quo tale carattere ricorra piuttosto palesemente, tanto che oltre al danno da vacanza rovinata si affiancherà il risarcimento dei danni derivanti dalle importanti lesioni personali subite dalla minore, a causa del semiannegamento.
Venendo ora al secondo profilo di analisi, ovvero su quale soggetto passivo si debba rivolgere la richiesta risarcitoria, si osserva innanzitutto che di fronte a tale tipologia di danno vengono in considerazione due soggetti, l’organizzatore e l’intermediario di viaggi turistici.
Il primo rapporto (turista-organizzatore) viene normalmente inquadrato nello schema tipico del contratto d’appalto di servizi, in cui il professionista predispone il pacchetto che comprende diverse prestazioni (trasporto, soggiorno, attività ricreative, ecc…) e ne coordina l’esecuzione.
Nel secondo caso, invece, (turista-intermediario) la cornice civilistica di riferimento sarà quella del contratto di mandato con rappresentanza, poiché il primo conferisce al secondo l’incarico di stipulare, in suo nome e per suo conto, uno o più contratti con uno o più fornitori di servizi.
Entrambi questi soggetti, essendo operatori del settore qualificati e per tale ragione identificandosi con la parte forte del “contratto turistico”, potranno essere chiamati a rispondere del mancato o inesatto adempimento, poiché entrambi -e ciascuno in relazione alla tipologia di attività esercitata- chiamati ad approntare tutti i mezzi e cautele necessarie a eseguire correttamente la prestazione su di essi gravante.
Interessante e di notevole impatto è, quindi, la norma contenuta nell’art. 43 comma 2 del Codice del Consumo che -adoperando un richiamo agli artt. 1228 e 2049 del cod. civ.- stabilisce che anche l’organizzatore e l’intermediario rispondono della condotta di soggetti terzi (ad esempio gli animatori del villaggio turistico) di cui si siano avvalsi, anche  se questi ultimi non siano alle dirette dipendenze dell’uno o dell’altro.
La ratio di tale disposizione -che prevede, comunque, un diritto di rivalsa dell’organizzatore o dell’intermediario nei confronti dell’effettivo responsabile- risiede nella responsabilità di questi due soggetti, correlata al rischio che viene alla luce nel momento in cui -operando una scelta organizzativa- ci si avvale di terzi per l’adempimento dell’obbligazione contrattuale.
Infine, in ordine alla quantificazione del danno, essendo tale danno unicamente ascrivibile al pregiudizio di natura non patrimoniale sofferto dovrà farsi ricorso ad un criterio di tipo equitativo, a cui andranno a sommarsi anche i pregiudizi di natura economica, più facilmente quantificabili.
Avv. Annalisa Righini

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