Intervista: Philippe Donnet  - Il Broker.it

Intervista: Philippe Donnet 

È uscita su la Repubblica l’intervista all’AD del Leone: faremo più asset management per i clienti e per altre compagnie. Da qui possono arrivare buoni utili
«Sono qui per cambiare il gruppo Generali con l’ambizione di fare sempre meglio». Philippe Donnet (nella foto) è da poco più di un anno alla guida del Leone dopo esserne stato il capo in Italia. E adesso spiega come cambierà: più risparmio gestito e meno – anzi, possibilmente niente – “operazioni di sistema”.
Il risultato operativo dell’ultimo trimestre è stato buono, ma le svalutazioni hanno ridotto l’utile netto a 535 milioni. Tra le vostre rettifiche quelle sui bond Alitalia e su Atlante. Il Leone sarà sempre una compagnia “di sistema”, pronta a correre di fronte agli appelli della politica?
«No, noi non siamo più “di sistema” in questo senso. I nostri concorrenti sono internazionali e giochiamo in Champions League, non in un campionato nazionale. Per questo non possiamo permetterci di appartenere a un “sistema”. E anche all’Italia conviene di più che ci siano tante multinazionali forti come noi. Ciò detto, se c’è un problema e si può contribuire a risolverlo, salvaguardando allo stesso tempo gli interessi dei nostri azionisti e degli assicurati, siamo sempre disponibili a farlo».
Anche dando di nuovo una mano per le banche venete?
«No, su questo abbiamo già dato partecipando ad Atlante 1».
Avete in cassaforte circa 60 miliardi di titoli di Stato italiani. Quota destinata a rimanere invariata o a scendere?
«Molto dipenderà dall’andamento dei tassi. Ma vogliamo anche investire in altre e nuove asset class».
Nell’ultimo decennio Generali è stata la Bella addormentata nel bosco, sottoperformando rispetto alle grandi compagnie europee. Perché?
«È difficile dar conto di un passato che non conosco bene, visto che sono a Trieste da tre anni e mezzo. Ma se mi devo rifare alla mia esperienza penso a quando sono stato chiamato in Italia per integrare le reti di Generali, Ina e Toro. Per quindici anni non era stato fatto nulla su questo fronte. In due anni io e i miei collaboratori lo abbiamo fatto. Probabilmente ci sono state altre situazioni come questa che non sono state gestite. Io sono qui per gestirle. Non a caso dal nostro Investor Day in poi il titolo Generali è salito più di quello dei concorrenti».
Ma le Generali pagano un “italian bias”, uno sconto sul prezzo perché sono basate in Italia, invece che a Parigi o Francoforte?
«Non ho certo voglia di provare se le cose cambierebbero finendo a Parigi o Francoforte! Ma scherzi a parte qualche sconto legato al fatto di essere in Italia c’è, anche se penso che il rischio Paese sia sopravvalutato dai mercati».
Perché lo pensa?
«Perché gli investitori privilegiano, come è ovvio, la stabilità. E in Italia, anche se c’è spesso instabilità politica, non c’è in fondo un’instabilità istituzionale. Certo, è difficile per molti stranieri capire il vostro sistema politico, ma – ripeto – c’è meno incertezza di quel che sembri. Il Paese deve proseguire però sulla strada delle riforme intraprese – che sono quelle giuste – così come noi dobbiamo diventare una compagnia sempre più forte».
Nell’Investor Day di maggio avete annunciato il piano che vi porterà anche sul risparmio gestito. Come esattamente?
«È la prima volta che le Generali hanno una strategia per l’asset management. Finora questo non è mai avvenuto, anche se abbiamo 450 miliardi di asset in gestione. Vogliamo che queste masse ci diano più utili: oggi producono un risultato netto di 84 milioni, ma già nel 2020 dovranno darci 300 milioni».
In che modo potreste arrivare a questo risultato?
«Abbiamo molte polizze “unit linked” (quelle che non garantiscono il capitale a scadenza, ma sono legate all’investimento dei premi in un fondo, ndr) con 90 miliardi di premi. Ma di questa cifra gestiamo solo il 14%, mentre per l’altro 86% paghiamo qualcun altro perché lo faccia al posto nostro. C’è spazio per crescere nella gestione. E poi dobbiamo lavorare di più per conto terzi: oggi gestiamo solo 8 miliardi di altre compagnie, ma in Europa ci sono 4.000 assicurazioni e a molte di loro possiamo offrire una piattaforma multiboutique completa per i loro investimenti».
Detta così suona come un negozio di moda. Che cosa significa in concreto “piattaforma multiboutique”?
«Che, specie in una fase di tassi bassi che durerà a lungo, le compagnie non possono investire solo nei titoli di Stato, ma devono farlo anche in asset class che conoscono meno bene. Dal private equity, al real estate – su cui in Generali abbiamo una competenza riconosciuta – fino al debt financing per le infrastrutture. Vogliamo identificare piccole piattaforme che lavorino in questi settori con risultati eccellenti e portarle nel gruppo, così da poter gestire un’offerta completa».
Ma così non rischiate di cannibalizzare Banca Generali che sta andando bene?
«Assolutamente no. La piattaforma di asset management che stiamo costruendo sarà utile anche a Banca Generali per dare opportunità di investimento diversificate ai suoi clienti».
Fed e Bce si preparano, anche se con calma, a rialzare i tassi. Non pensa che la vostra mossa risulterà anticiclica in un momento in cui le polizze Vita potrebbero tornare a dare soddisfazione?
«Innanzitutto non penso che i tassi si muoveranno molto almeno per i prossimi tre anni e secondo me anche di più. Ma l’evoluzione verso le polizze unit linked è una virata senza ritorno. Non torneremo indietro per proporre prodotti con alti rendimenti garantiti, che ci fanno guadagnare poco e assorbono molto capitale. Quell’epoca è finita».
Vi lanciate nell’asset management proprio mentre Intesa Sanpaolo, che aveva pensato a un’operazione con voi, punta allo stesso settore. Vi farete concorrenza?
«No, abbiamo scelto una strada diversa. Il nostro asset management non è quello dei grandi volumi a cui può puntare una banca. La nostra è una strategia di nicchia e non siamo certo in competizione con Intesa Sanpaolo, ma con le altre grandi compagnie assicurative europee».
Dopo le avance non richieste e la ritirata vi siete rivisti con l’ad di Intesa Carlo Messina?
«Non ce n’è stata occasione. Ma, sebbene io continui a non capire il perché del loro interesse a un’operazione con noi, preferisco guardare al futuro e non al passato».

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