Il Romanzo Assicurativo - Francesco Di Prisco - Raindrops keep falling on my head - Il Broker.it

Il Romanzo Assicurativo – Francesco Di Prisco – Raindrops keep falling on my head

Categorico era stato il monito di Don Pernigotto a quei quattro scavezzacollo colti in flagrante alle 3 d’un afoso lunedì pomeriggio di luglio, che muniti di fionda e pietruzze arrotondate, arroccati per bene sulla verdissima collinetta che sovrasta Parona, si dilettavano a colpire ripetutamente uno dei quattro bronzi posti sull’apice della torre campanaria della Chiesa di San Filippo e Giacomo a Parona di Valpolicella, ultimo quartiere cittadino sul versante nord di Verona, alle propaggini dell’omonima periferia, nota per i suoi vitigni e le centinaia di cantine.
I debosciati fenomeni alternandosi ordinatamente, scaraventavano una fitta sassaiola muniti di rudimentale arma lavorata sapientemente da un ramo biforcuto di acero. L’elastico era il ricavato di un accurato ritaglio di camera d’aria d’un veicolo pesante. I proiettili, semplici tondeggianti sassi di collina di un paio di centimetri di diametro. Le bordate che coglievano il bersaglio, rompevano il silenzio pomeridiano dell’assolata frazione, mentre quelli che lo mancavano rompevano i vetri delle finestre socchiuse delle abitazioni tutt’intorno alla Chiesa. Tutti i proiettili indistintamente… rompevano “gli attributi” (anche se atrofizzati da perdurante inattività) del sofferente Prelato. Che… a quell’ora non poteva fare a meno del suo pisolo post-prandiale. Indispettito dal rumoreggiare delle mitragliate e dallo scampanio assolutamente fuori orario, il Pretone minacciò i quattro giovinastri di fare una capatina a casa loro, soggiungendo che il Buon Dio, inorridito da tale riprovevole peccaminoso comportamento, come minimo avrebbe fatto bruciare le loro anime come caldarroste negli inferi più focosi.
A noi, dico noi perché lì in mezzo c’ero pure io, della fuliggine e delle calorìe degli inferi, francamente poco importava. Anche perché l’anima, nonostante la tenera età, l’avevamo già smarrita da mo’! Invece il cazziettone casalingo con annesse bacchettate sulle ignude gambe ci fece tribolare molto molto di più!
Pertanto decidemmo di vendicarci dando un seguito alla nostra prima bravata. Ma lo facemmo… non col pentimento ed il timor d’Iddio… invocati dal Don, ma mettendo in atto la più vigliacca delle coglionate che si sarebbe potuta architettare.
Ermes, mente del gruppo, qualche giorno dopo, procurò tre pignatte di rame che un tempo suo padre impiegava per portare il becchime alle galline ruspanti sul retro di casa. Avevano dei tasselli fissati ai bordi con dei fori ove passavano le cinghie di pellame, che una volta sistemate bene in spalla, permettevano di portarle a “tracolla”. Una trentina di litri d’acqua dentro ci stava comodamente.
Un venerdì, appena intonate le 6 e 30 pomeridiane, mentre il Signor Curato era intendo a dir Messa e il Parroco indaffarato in Sagrestia, tre di noi intrufolatisi dal retro della Chiesa, raggiunsero l’accesso al campanile. Una sorta di angusto corridoio univa la torre al resto della Chiesa. In fondo c’era una piccola fontanella d’acqua non potabile. Riempite sino all’orlo le tre piccole cisterne, iniziammo a trascinarle su per la scaletta a chiocciola che serpeggiando a ridosso delle pareti del campanile, giungeva sino in cima dove erano alloggiate le campane. Nonostante sei buone braccia non vi dico della faticata indescrivibile…! Impiegammo circa dieci minuti per raggiungere il fatidico punto d’aggancio delle campane. Qui fu facile sistemare le taniche ricolme d’acqua, in modo che al primo dondolio il loro precario equilibrio le facesse ruzzolare d’un mezzo giro. Quanto bastava per sversare il loro prezioso carico. Ultimato il posizionamento delle “bombe”, ci demmo alla fuga come forsennati giù per quelle anguste e ripide scalette di legno. Ermes, che aveva fatto da palo, dette l’ok alla fuga dalla Chiesa.
Pochi minuti prima delle 19… o meglio delle 7 di sera, il Parroco, puntuale come sempre, si introdusse “nell’antro degli strangolati”, pronto per lo scampanio che scandiva la fine della funzione serale e l’ora, per i più, del desinare.
Ignaro dell’incombente pericolo, attese qualche attimo il procedere del Sottoposto alla benedizione conclusiva, quindi… con tutte le sue energie procedette al tiro delle prime due funi….
Ma in concomitanza col rintocco iniziale un inatteso rumoreggiare di ferraglia fece solo da preludio a quella che alla storia sarà consegnata come la peggiore delle docce fredde che toccarono al Signor Parroco… o intrigante Pretone che dir si voglia.
Dalla sottostante Piazza del Porto, che a gambe levate raggiungemmo in un battibaleno, intorno alle 7 udimmo solo un rintocco pieno e un secondo semi-masticato… poi il silenzio. Alcuni passanti dsentendo lo strano e irregolare scampanio commentarono a modo loro… “Ma el Don èlo imbriago stasera!?” che pressappoco significa…”Ma il Don è forse ubriaco questa sera!?”. Altri che nei paraggi transitavano in bici, scuotevano la testa brontolando a voce alta il loro disappunto contro Chiesa, Preti, politici e altri che non sanno fare il loro mestiere.
Da allora sono passati cinquant’anni…
Oggi le campane della Parrocchia di Parona di Valpolicella sono azionate da un computer che comanda una forza motrice collegata al battocchio, l’acqua è tutta potabile, la Chiesa… o meglio il Vaticano ha il sistema informatico più raffinato del mondo e i Preti sono più sportivi e tolleranti di Don Pernigotto…
Gli unici, che non hanno mutato attitudini parrebbero essere i politici…!
Dimenticavo… dopo l’ultima bravata dei secchi pieni d’acqua… il Don convocò i nostri genitori…
Io e Ermes siamo stati spediti a Sant’Anna d’Alfaedo a fare penitenza, nettando cessi, camerate, cucina e dispense della locale Casa di Riposo. Il Gio e Alessio se la cavarono invece con una blanda punizione; niente “calcio estivo” per un mese!
Responsabilità Genitoriale…

La norma
Natura della responsabilità
La coabitazione
Il rapporto tra gli articoli 2047 e 2048
La responsabilità del genitore

La norma
Ai sensi dell’articolo 2048, il padre e la madre, o il tutore sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela, che abitano con essi. La stessa disposizione si applica all’affiliante. I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza. Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto. L’articolo 2048 fa riferimento a due figure di responsabilità. La prima è quella dei genitori e dei tutori per i danni commessi dal minore o dalla persona soggetta alla tutela; la seconda è quella dei precettori e dei maestri d’arte. Sono precettori gli insegnanti della scuola pubblica e privata, di qualunque ordine e grado. In questa voce ci occupiamo della prima figura, con la precisazione che useremo la parola genitore sottintendendo che il riferimento vale anche per il tutore. I genitori sono titolari di un ufficio di diritto privato nei confronti dei figli, che comprende diritti e doveri; tra questi doveri vi è quello di educare il minore; vi sono altresì poteri che, se non correttamente esercitati, giustificano la loro responsabilità per i danni cagionati dal minore. Proprio in considerazione del fatto che la responsabilità di cui all’articolo in esame si fonda su questo particolare legame che sussiste tra rappresentante e rappresentato, si giustifica l’opinione secondo cui la norma non è applicabile per analogia ad ipotesi diverse da quelle in essa previste. Non si dubita comunque che la norma sia applicabile ai genitori adottivi.
Natura della responsabilità
Secondo parte della dottrina la norma contempla un caso di responsabilità per colpa, e precisamente di colpa in educando. Poiché il genitore ha il dovere di educare il figlio, se costui cagiona un danno la colpa del genitore consiste proprio nel non avergli impartito un’educazione adeguata. Tale responsabilità sarebbe da ascrivere, dunque, nell’ambito della responsabilità diretta per fatto proprio e non della responsabilità per fatto altrui. Secondo altri autori, invece, la norma contempla un’ipotesi di responsabilità oggettiva e indiretta. Non si risponde, infatti, per il fatto proprio, ma per quello del minore. Si è anche detto che in virtù della norma in esame esisterebbe a carico del genitore un obbligo legale di garanzia verso i terzi, che nasce dalla relazione intercorrente fra lui e il figlio. Secondo alcuni autori, leggendo la giurisprudenza, le applicazioni della norma operate dai Tribunali avvalorano la tesi della responsabilità oggettiva; infatti, quando il figlio minore commette un danno, la prova di non aver potuto impedire il fatto è resa praticamente impossibile. Spesso infatti viene affermato che il genitore potrebbe provare la sua mancanza di colpa dimostrando di aver dato un’educazione adeguata al figlio, ma fornire tale tipo di prova è pressoché impossibile. Si trova spesso affermato, infatti, che, non potendo provarsi, in positivo, quale tipo di educazione i genitori hanno fornito al figlio, la prova può essere fornita in negativo, nel senso che dalle stesse modalità del fatto illecito si può risalire all’educazione da costui ricevuta, desumibile dall’immaturità del danneggiante. Come dire: se un figlio è stato ben educato non causa danni; se li causa vuole dire che non è stato ben educato e quindi i genitori sono da considerare responsabili. Tale lettura – in chiave oggettiva – della giurisprudenza, però, non è sempre corretta; infatti, non mancano casi (anche se più rari) in cui effettivamente il genitore è riuscito a dimostrare di aver dato al figlio un’educazione sufficientemente corretta, tale da escludere che il danno cagionato possa essere ascritto alla cattiva educazione impartitagli. In realtà, nell’applicare la norma la giurisprudenza non adotta un criterio uniforme, ma interpreta l’espressione “non aver potuto impedire il fatto” adeguandola alle situazioni concrete. Il che rende impossibile stabilire a priori se la responsabilità in questione sia considerata dai giudici di tipo oggettivo o soggettivo.
La coabitazione
Presupposto necessario perché trovi applicazione la norma in esame è la coabitazione con il rappresentante legale. Perché la responsabilità venga meno è necessario che il minore abbia stabilmente abbandonato la propria dimora, e non è sufficiente che se ne sia transitoriamente allontanato (per esempio per andare in vacanza dagli zii, per ragioni di studio o di svago). Tuttavia il concetto di coabitazione deve essere ben inteso, e comunque non vale in determinati casi particolari. Ad esempio, è certamente corretto ritenere che la convivenza venga meno se il minore si allontana stabilmente, come accade per chi presta servizio militare (ma se il fatto illecito è commesso nel periodo della licenza, la breve coabitazione che si instaura in quel periodo vale a ripristinare il rapporto di cui all’articolo 2048). Non viene meno, invece, nei casi in cui il minore venga abbandonato, perché in questi  casi si ritiene che i genitori conservano comunque un obbligo legale di educare, sorvegliare e mantenere il figlio. Pare allora che il requisito fondamentale perché sussista la responsabilità in oggetto non sia tanto la coabitazione, quanto l’esistenza dei doveri imposti dall’articolo 147 C.C. (Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’articolo 315-bis).
Il rapporto tra gli articoli 2047 e 2048
L’articolo 2048, in base al quale i genitori sono responsabili del fatto illecito commesso dal minore, deve essere coordinato con il precedente articolo 2047, secondo cui dei danni commessi dall’incapace (e quindi anche dai minori) risponde il sorvegliante. Il problema, cioè, è questo: quando un minore incapace commette un danno mentre si trova sotto la sorveglianza di un estraneo (ad esempio, la maestra) deve rispondere il sorvegliante (ex articolo 2048) o il genitore (ex articolo 2047)? Secondo la dottrina prevalente il coordinamento va inteso in questo senso (tenendo presente che un minore può essere incapace di intendere e di volere oppure può essere capace):

  • se il minore è incapace di intendere e di volere si applica l’articolo 2047, e responsabile sarà comunque il sorvegliante, sia esso il genitore oppure un’altra persona. Con la conseguenza che del danno cagionato dal minore in potestà nel momento in cui, ad esempio, era a scuola, risponderà la scuola e non il genitore (culpa in vigilando);
  • se il minore è capace di intendere e di volere allora si applica l’articolo 2048 e la responsabilità ricade solo sui genitori.

La giurisprudenza, invece, talvolta si è espressa in senso diverso, sostenendo che genitori e sorveglianti sono responsabili in solido.
La responsabilità del genitore
I due genitori rispondono del fatto del minore in solido tra loro. Se il minore è incapace di intendere e di volere saranno responsabili solo i genitori. Se il minore è capace di intendere e di volere risponderà in proprio del danno con il proprio patrimonio, ma in solido coi genitori. Ed è stato altresì affermato che la responsabilità tra genitori e minore si ripartirebbe secondo le rispettive colpe. Tale soluzione – secondo alcuni autori – si giustifica perché se il minore è capace di intendere e di volere ha commesso un illecito, anche se violando una norma di condotta diversa rispetto a quella violata dai genitori: questi ultimi hanno violato la regola che impone di educare il figlio in modo tale che non arrechi danni ad altri, mentre il figlio ha violato la regola generale del “neminem laedere”. La responsabilità del minore capace di intendere e di volere si estende anche al risarcimento dei danni non patrimoniali e morali.

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