Danni non patrimoniali: spettano ai parenti della vittima?
Si segnala il caso in cui un giovane motociclista aveva riportato gravi lesioni (25% di invalidità permanente) a seguito di un sinistro.
Il padre del ragazzo, a causa del danno patito dal figlio, decide di agire per ottenere un risarcimento per le proprie sofferenze interiori, la cui prova peraltro risulta alquanto difficoltosa.
A riguardo la Corte di Cassazione, con sentenza n. 17058/2017, prendendo spunto dalla sentenza di secondo grado della Corte di Appello con la quale era stata respinta la tesi del genitore ritenendo non provato il danno, afferma invece che la prova in tale ipotesi è “atipica”.
Secondo gli Ermellini i Giudici del secondo grado avrebbero dovuto ritenere il danno dimostrato sulla base di una serie di indizi e non in base ad una vera e propria univoca prova, date le evidenti difficoltà di provare un danno inferto all’anima di un soggetto.
Ne consegue che si debba ricorrere ad elementi di logica per provare la sofferenza.
La Suprema Corte ritiene che gli elementi da tenere in considerazione per identificare il risarcimento dovuto al padre a seguito delle sofferenze patite dal figlio sono: la giovane età del figlio al momento dell’evento; il ricovero in ospedale; le lesioni di tipo macro permanente; l’invalidità temporanea assoluta protratta per quattro mesi; la convivenza padre – figlio; l’allarme del padre per la salute del figlio.
La Cassazione, ritenendo che anche la Corte di Appello avrebbe dovuto tener conto di questi aspetti, ha rinviato ad una diversa composizione del giudice di secondo grado, affermando la necessità di ricorrere alle prove critiche e non a quelle storiche, lasciando il dovuto spazio alla prova presuntiva (art. 2727 c.c.).
Avv. Patricia Russo
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