Con sentenza n. 2814/2018, il Tribunale di Milano ha stabilito che rientra nel patrimonio del soggetto, poi deceduto, il danno subito per lesioni della propria integrità psicofisica provocatogli dall’agonia protrattasi, fino alla morte, dopo un lasso di tempo intercorso dal fatto colposo di omessa diagnosi a fronte di una patologia e di segnali clinici già in corso.
Nel caso in oggetto i familiari del de cuius avevano radicato un giudizio contro l’Ospedale al fine di ottenere una pronuncia di condanna dello stesso al risarcimento di danni non patrimoniali e patrimoniali subiti iure proprio e iure hereditatis.
Il Tribunale ha ravvisato una ipotesi di responsabilità professionale della struttura sanitaria per inadempimento del c.d. contratto di spedalità da intendersi quale contratto atipico che si perfeziona al momento dell’accettazione del paziente in ospedale in caso di ricovero o di visita ambulatoriale.
In punto risarcimento per il danno da agonia del congiunto, quale stato di sofferenza spirituale patito dalla vittima a causa dell’avvicinarsi del fine-vita, il Tribunale adito ha evidenziato due diversi orientamenti giurisprudenziali che indicano rispettivamente il danno in oggetto quale danno “biologico terminale” – liquidabile come invalidità assoluta temporanea – e quale danno “catastrofale” (avuto riguardo alla sofferenza della vittima nell’attesa della morte seguita dopo apprezzabile lasso di tempo dalle lesioni).
In ogni caso, a parere del Tribunale, non vi sono differenze dal punto di vista della liquidazione dei danni perché “anche in caso di utilizzazione delle tabelle di liquidazione del danno biologico psichico dovrà procedersi alla massima personalizzazione per adeguare il risarcimento alle peculiarità del caso concreto, con risultati sostanzialmente non lontani da quelli raggiungibili con l’utilizzazione del criterio equitativo puro utilizzato per la liquidazione del danno morale”.
Le differenze attengono al profilo probatorio laddove il danno catastrofale, a differenza di quello biologico, richiede la prova della “lucida e cosciente percezione dell’ineluttabilità della propria fine” da parte della vittima.
Secondo il Tribunale adito, quindi, il danno subito dalla vittima è entrato a far parte del suo patrimonio quale lesione alla propria integrità psicofisica e tale tipologia di lesione “può essere liquidata attraverso l’applicazione del sistema tabellare, riconosciuto dalla Corte di legittimità come parametro equitativo che consente di fare emergere i parametri differenziati in relazione al grado della lesione oltre che garantire una uniformità e prevedibilità delle decisioni“.
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