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Avv. Russo – Diritto di Famiglia: “Maltrattamenti in famiglia”

Maltrattamenti in famiglia

 

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 34351/2020, ha stabilito che gli insulti e le offese quotidiane perpetrate nei confronti della moglie esprimono la continuità e ripetitività delle condotte necessarie a integrare il reato di maltrattamenti.

Nel caso in esame, l’imputato era stato dichiarato responsabile per il reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi, ex art. 572 c.p., per aver sottoposto moglie e figlia a continue percosse e violenze e per quello di violenza sessuale nei confronti della moglie, costretta a subire atti sessuali contro la sua volontà.

La Corte di Appello assolveva, però, l’imputato dal reato di maltrattamenti nei confronti della figlia e riconosceva l’attenuante di cui all’art 609 bis ultimo comma c.p. per il reato di violenza sessuale ai danni della moglie.

Con sentenza del 2018, emessa in sede rescindente, gli Ermellini annullavano la sentenza di secondo grado che confermava quella di primo grado limitatamente alla condanna per i maltrattamenti in famiglia.

Essi ritenevano, infatti, che non fosse stato adeguatamente motivato l’aspetto relativo alla ripetività ed ossessività degli atti necessari per integrare il delitto di maltrattamenti.

L’uomo decideva, dunque, di impugnare la sentenza emessa in fase rescissoria, lamentando che non fossero state tenute in considerazione le dichiarazioni della moglie rese alla Polizia intervenuta nell’abitazione familiare a seguito di segnalazione della donna, allorquando quest’ultima aveva riferito che il coniuge non aveva più reiterato le condotte denunciate nei suoi confronti.

Inoltre, l’uomo rammentava che la moglie davanti al Tribunale dei Minori aveva ammesso di avere un po’ esagerato.

La Corte d’Appello aveva interpretato le dichiarazioni della moglie non già contraddittorie e poco attendibili quanto come tentativo della donna di mantenere l’unione del nucleo familiare.

La Suprema Corte rigetta, pertanto, il ricorso dell’imputato affermando che non spettasse ai Giudici di secondo grado valutare l’attendibilità del racconto della persona offesa e che essi avrebbero dovuto, piuttosto, valutare la ripetitività e abitualità dei comportamenti prevaricatori posti in essere nei suoi confronti dal marito, così come emersi dalle prove.

Avv. Patricia Russo

 

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