Il Tribunale di Chieti, con sentenza n. n. 433/2020, si è pronunciato in tema di onere probatorio nella responsabilità contrattuale medica.
Secondo la giurisprudenza, in caso di responsabilità contrattuale, spetta al danneggiato provare l’esistenza del contratto o il contatto sociale qualificato e l’insorgenza o l’aggravamento di una patologia, allegando inadempienze sanitarie qualificate idonee a provocare il danno, ponendosi come sua causa o concausa efficiente.
Il medico o la struttura sanitaria devono dimostrare che non può esser loro mosso alcun rimprovero di scarsa diligenza o imperizia o che l’eventuale inesatto adempimento non abbia inciso causalmente sulla produzione del danno al paziente.
Ne consegue che detti soggetti chiamati a rispondere contrattualmente del loro operato devono provare che l’eventuale insuccesso dell’intervento – quindi la sua difformità rispetto a quanto concordato con il paziente o ragionevolmente attendibile – sia dipeso da una causa a loro non imputabile.
Nel caso in esame, i fatti si sono verificati anteriormente all’emanazione della legge Gelli n. 24/2017, per cui essa non è applicabile agli stessi, con conseguente inapplicabilità delle previsioni che hanno ricondotto la responsabilità della struttura sanitaria in quella contrattuale e quella del medico all’illecito aquiliano, senza poter ritenere che la normativa introdotta con il D.L. n. 158/2012 determini una configurazione della responsabilità civile del sanitario come responsabilità necessariamente extracontrattuale.
La pronuncia in oggetto ha altresì affermato che il nesso eziologico sussiste anche quando l’opera del medico avrebbe avuto fondate possibilità di evitare il danno se fosse stata prestata correttamente e ha precisato che tale accertamento implica l’applicazione della “regola del più probabile che non” sia per la causalità ordinaria che per la causalità da chance perduta.
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