Tassabili le rendite finanziarie, in caso di morte, relative ai contratti di assicurazione sulla vita. L’Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione n. 76/E del 16 settembre, fornisce importanti chiarimenti in merito a tale delicata tematica, a seguito della riforma della disciplina, con decorrenza 1° gennaio 2015, operata con la Legge di stabilità 2015. La Risoluzione riprende quanto già affermato nella Circolare n. 8/E dello scorso mese di aprile, nella quale erano stati individuati due criteri per la quantificazione della parte finanziaria.
Con la Risoluzione n. 76/E del 16 settembre, l’Agenzia delle Entrate ha fornito ulteriori chiarimenti in merito alla tassazione dei capitali percepiti in caso di morte, in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita.
L’Ufficio ha precisato che, diversamente dalla disciplina precedentemente in vigore (fino al 31 dicembre 2014), a partire dal 1° gennaio 2015 non tutte le predette somme sono esenti da tassazione.
L’esenzione ora opera unicamente in relazione alla parte di “capitale” delle somme erogate. Pertanto la parte riconducibile ai rendimenti di natura finanziaria è soggetta a imposizione fiscale.
Fatta tale premessa l’Agenzia non nasconde tuttavia le difficoltà che si possono presentare in fase di quantificazione della parte fiscalmente imponibile.
Detto in altri termini: come quantificare la parte tassabile?
Il criterio principale
Riprendendo quanto già evidenziato nella Circolare n. 8/E dell’aprile 2016, l’Ufficio rileva che per determinare la parte imponibile bisogna sottrarre, al “valore di riscatto” riconosciuto all’assicurato (individuato nelle pattuizioni contrattuali), l’ammontare dei premi pagati al netto di quelli corrisposti per la copertura del rischio morte.
Tuttavia ciò presuppone che sia facilmente individuabile:
la parte dei premi relativa alla copertura del rischio morte;
la parte invece riferibile a prestazioni di tipo finanziario previste dalla polizza assicurativa.
Non sempre, però, ciò è possibile. È il caso delle polizze vita con prestazioni ricorrenti per le quali sia previsto un premio unico: a volte non è così immediata la ripartizione tra parte relativa alla copertura del rischio morte e parte finanziaria.
Il criterio proporzionale
Qualora la predetta divisione non sia facilmente effettuabile, è possibile ricorrere al c.d. criterio proporzionale.
Per comprendere il funzionamento di tale criterio si consideri il seguente esempio fornito dall’Agenzia, relativo alle polizze vita con prestazioni ricorrenti.
A fronte di un premio unico di 800 euro, viene corrisposta una prestazione complessiva di 1.800 euro composta da prestazioni ricorrenti (cedole) già erogate nel corso del contratto (450 euro) e dalla prestazione all’atto del decesso (1.350 euro) di cui una parte a copertura del rischio demografico (500 euro) e un’altra parte (850 euro) per la componente finanziaria.
Qualora non sia possibile ricostruire con certezza la riferibilità dei premi alle componenti demografica e finanziaria, il premio unico di 800 euro va suddiviso replicando la proporzione delle due componenti sul valore della prestazione finale.
In tal modo sarà possibile quantificare l’ammontare imponibile dei capitali percepiti.
Il criterio in questione potrà ovviamente essere utilizzato anche per le polizze vita senza prestazioni ricorrenti (qualora non sia facilmente individuabile la predetta ripartizione dei premi).
FONTE: Ipsoa
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