Nell’ambito lavorativo spesso e volentieri utilizziamo termini come professionalità e competenza senza preoccuparci se il loro utilizzo durante le conversazioni sia improprio o lontano dalla realtà che vogliamo rappresentare.
Il loro suono senza dubbio trasmette positività, ottimismo, fiducia ma talvolta naufragano quando alle parole non corrispondono i fatti concreti.
Parlare di professionalità e competenza aiuta indubbiamente a rafforzare la propria autostima, ci sentiamo elevati.. insomma una sorta di antidoto alla insicurezza o alla paura di farci trovare impreparati che pervade la nostra attività quotidiana, qualunque essa sia.
Senza contare che esiste un unico organo giudicante pronto a presentare il conto al momento opportuno ovvero le persone che ci ascoltano, i nostri clienti o i potenziali clienti che si affidano a noi nella speranza che tutta quella positività che siamo riusciti a trasmettere trovi poi effettiva concretezza nella realtà ed in ogni singola situazione.
La professionalità è una qualità che prende forma nel tempo, con l’esperienza maturata e la pratica costante sul campo, la continua formazione e voglia di essere informati da cui deriva la conoscenza e la competenza ed infine il saper ascoltare (e non ascoltarsi..).
Queste attitudini mescolate correttamente rendono il professionista “professionale” nel settore in cui opera e che dovrebbero ispirare il comportamento di ognuno di noi.
La continua e costante formazione deve andare al di la dei semplici aggiornamenti annuali imposti dai vari ordini professionali ma consentire al professionista di giocare un ruolo di assoluto protagonista nei confronti dei vari competitor e trasmettere al tempo stesso quel ragionevole grado di fiducia alla base di ogni consolidata relazione, per indurre il cliente a provarne le capacità e le competenze.
Da qui nasce la fidelizzazione tra il cliente e il professionista in cui quest’ultimo dovrà gioco forza travestirsi da artista per adattare il proprio comportamento relazionale (talvolta diverso per ogni situazione) ed entrare in empatia emotiva con l’organo giudicante che ne riconoscerà i valori e le qualità.
Volutamente non sono entrato nello specifico di una professione piuttosto che di un’altra perché i concetti espressi possono essere declinati su tutti coloro che saranno in grado di differenziarsi e dimostrare di avere una marcia in più offrendo prestazioni e sevizi di qualità superiore in virtù delle esigenze manifestate, qualunque attività venga esercitata.
Dall’inizio del nuovo millennio tutti coloro che esercitano un’attività in proprio si trovano a dover fronteggiare il proprio mercato di riferimento con un nuovo competitor.
Se inizialmente Internet si è era proposto come un semplice mezzo di comunicazione, nel web 3.0 si può parlare di un web semantico, neologismo che sta ad indicare un utente capace di generare contenuti e ricoprire i ruoli sia di spettatore che di autore e soprattutto un elemento della vita quotidiana, considerando che quasi tutto quello che facciamo ogni giorno dipende visceralmente da internet. Il web 3.0 permette ricerche più accurate e approfondite che consentono l’interrogazione attraverso il linguaggio naturale e il reperimento delle informazioni secondo approcci orientati a sfruttare l’intelligenza artificiale per meglio individuare le necessità e i gusti degli utenti secondo il loro comportamento in rete.
Potrà quindi il web, capace di creare una relazione virtuale con il consumatore finale, sostituirsi al professionista?
Sicuramente per alcune tipologie di prodotti e di servizi, a basso contenuto consulenziale, sarà invitabile e probabilmente anche utile, ma per altre prestazioni in cui entra in gioco la relazione, la fiducia, la richiesta di competenza e l’empatia, la figura del professionista “3.0” continuerà ad essere la carta vincente.
ROBERTO RUBBA
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