Il caso: Rosa, pensionata settantenne, mentre si trovava alla guida della propria auto sulla strada per raggiungere la propria abitazione, viene coinvolta in un sinistro stradale nel quale viene, dagli agenti intervenuti in loco, accertata l’esclusiva responsabilità a carico del conducente dell’altro mezzo coinvolto. Condotta al locale pronto soccorso per i dovuti accertamenti, viene sottoposta a diversi esami diagnostici dai quali emerge la frattura dello sterno e la distorsione del rachide cervicale con prognosi, all’atto delle dimissioni, di giorni venti.
Al termine di tale periodo, valutata nuovamente durante una visita di controllo da parte del medico curante, la prognosi viene ulteriormente protratta per altri venti giorni, scaduti i quali Rosa veniva nuovamente sottoposta a visita ortopedica di controllo durante la quale veniva individuato un peggioramento delle condizioni cliniche in relazione alla frattura sternale.
Stante tale condizione di peggioramento, Rosa si recava nuovamente dal proprio medico curante per l’emissione del certificato di prolungamento della malattia, ma il medico -in prima battuta- rifiutava l’emissione dello stesso per non incorrere nell’obbligo introdotto con la legge n. 41 del 23 marzo 2016 (c.d. legge sull’omicidio stradale).
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Il caso in esame consente di analizzare alcune novità introdotte con la legge n. 41 del 23 marzo 2016, pubblicata in Gazzetta Ufficiale in data 24.03.2016 (n. 70) ed entrata in vigore il successivo 25 marzo 2016, quindi senza l’ordinaria vacatio legis di quindici giorni.
Il testo di legge profondamente innovativo ha introdotto i reati di omicidio stradale (art. 589 bis c.p.) e di lesioni personali stradali gravi o gravissime (art. 590 bis c.p.)[1], commessi con violazione della disciplina della circolazione stradale, ai quali rimane affiancato il reato di lesioni personali colpose ex art. 590 c.p., che continuerà ad applicarsi per tutte le ipotesi di lesioni in cui vi è stata guarigione entro quaranta giorni; in tale ultimo caso, quindi, rimarrà ferma la procedibilità a querela della persona offesa e la competenza del Giudice di pace.
Invece, le più rilevanti conseguenze nell’ipotesi di lesioni derivanti da incidente stradale riguardano proprio i casi in cui la natura della lesione subita è tale da superare i predetti quaranta giorni di malattia, qualificandosi quindi come grave o gravissima.
Tale innovazione ha mutato sia il quadro della procedibilità che della competenza a decidere sui relativi procedimenti, poiché fino all’entrata in vigore delle nuove disposizioni le lesioni “stradali” erano sempre procedibili a querela, a prescindere dalla loro gravità, ed appartenevano alla competenza del Giudice di Pace.
Ora, quando le lesioni si profilano come gravi o gravissime, ovvero in tutti quei casi – peraltro, non così remoti a verificarsi- in cui la malattia ha una durata superiore ai quaranta giorni, si applica il nuovo art. 590 bis c.p. e, quindi, la procedibilità è d’ufficio e la competenza è rimessa al Tribunale in composizione monocratica.
Tale inquadramento normativo invita l’ufficiale di polizia giudiziaria a formulare un giudizio prognostico nell’immediatezza dei fatti circa la durata della patologia non accontentandosi, quindi, dei primi referti di pronto soccorso, che spesso riportano una prognosi assolutamente approssimativa, talvolta, sottovalutando le conseguenze invalidanti e durature sulla salute della persona offesa.
Proprio per tali ragioni, ad esempio, alcune Procure hanno elaborato note informative recante alcune linee guida per l’applicazione della nuova legge, caldeggiando l’iniziativa della Polizia Giudiziaria di interrogarsi, nell’immediatezza dell’evento, sulla possibilità o meno che dall’incidente possano verificarsi le aggravanti che rendono il reato procedibile d’ufficio, soprattutto nei casi in cui il primo referto ospedaliero indichi una prognosi inferiore ai quaranta giorni.
Tale indicazione viene sorretta dalla considerazione secondo cui l’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità ritiene che debbano essere fatti rientrare nel computo del periodo in esame anche i tempi della convalescenza e del riposo, necessari ai fini della completa guarigione.
Prosegue la nota informativa indicando l’opportunità, in tutti i casi di previsione di una malattia superiore ai quaranta giorni, di effettuare un invito alla persona offesa, “conservando traccia scritta di tale invito”, a far avere agli agenti intervenuti la documentazione medica eventualmente rilasciata a seguito del primo referto ospedaliero, da cui risulti la certificazione di una malattia superiore ai quaranta giorni, in modo tale che la Polizia Giudiziaria possa qualificare il reato come procedibile d’ufficio e precedere di conseguenza a comunicare la notizia criminis all’Autorità competente.
Orbene, sul solco delle suddette considerazioni, viene in luce il correlato obbligo del medico refertante la lesione di notiziare l’Autorità, sia la Polizia Giudiziaria o direttamente la Procura della Repubblica, nel caso in cui la malattia derivante dalla lesione abbia una durata superiore ai quaranta giorni.
Il referto da trasmettere all’Autorità Giudiziaria costituisce, dunque, un obbligo per il sanitario che abbia prestato la propria assistenza od opera nei casi che possono presentare i caratteri di un reato per cui sia prevista la procedibilità d’ufficio; tale obbligo ricade congiuntamente su tutti gli operatori sanitari che si siano avvicendati nel prestare assistenza alla persona offesa[2].
È utile considerare il fatto che, spesso, al termine della malattia permanga l’incapacità di attendere alle normali attività (per la cui definizione si rimanda alla nota sub 1); tale possibilità comporta la trasformazione della lesione da lieve a grave. La lesione gravissima, invece, secondo quanto emerge dal codice penale si avrà ogni qual volta si verifichi una malattia certamente o probabilmente insanabile, la perdita di un senso o di un arto, ovvero una mutilazione che renda inservibile l’arto ed anche la perdita dell’uso di un organo, della capacità di procreare, una permanente e grave difficoltà nella favella ed infine la deformazione, o lo sfregio permanente del viso.
Considerata, quindi, l’analisi proposta appare di immediata evidenza che l’obbligo di denunzia ricadrà sicuramente sul medico di pronto soccorso che si trovi a refertare una prognosi superiore ai quaranta giorni, nel caso di lesione derivante da incidente stradale; ovviamente, però, lo stesso obbligo ricadrà su ogni sanitario che si trovi nella necessità di prolungare tale prognosi iniziale sia essa inferiore o pari ai quaranta giorni.
Dunque, anche il medico di base che visiti il proprio mutuato, o lo specialista che operi sia in struttura pubblica che privata, nel caso debba prolungare la prognosi iniziale -come nel caso in esame da cui ha preso spunto questa riflessione- dovrà redigere il relativo referto e contestualmente comunicare l’Autorità Giudiziaria che la lesione subita dal proprio paziente rientra tra quelle definite gravi con ogni relativa conseguenza.
Tale obbligo sussiste anche qualora il professionista venga in possesso di altra precedente documentazione medica, già rilasciata al paziente, dalla quale emerga una prognosi superiore ai quaranta giorni; è chiaro che tale innovativa prescrizione impone a tutti i medici che entrano in contatto con soggetti coinvolti in incidenti stradali con lesioni di prestare molta attenzione e diligenza al momento di esprimere un giudizio prognostico a cui sarebbe opportuno -anche per chiarire la reale portata della lesione diagnosticata all’Autorità- affiancare una descrizione delle ragioni che hanno condotto a tale giudizio.
Allo stesso modo, però, il medico che si trovi in simile situazione non potrà rifiutare il referto per non incorrere in tale obbligo, laddove l’evidenza dalla lesione conduca a ritenere necessario il prolungamento della prognosi inizialmente riconosciuta.
Avv. Annalisa Righini
[1] Tale è definita la lesione che cagioni una malattia superiore ai quaranta giorni o un’incapacità ad attendere alle ordinarie occupazioni di durata superiore ai quaranta giorni.
Per “durata della malattia” va inteso tutto il periodo in cui il processo morboso permane con carattere evolutivo, unitamente ai relativi disturbi funzionali; invece, la situazione di “incapacità” è uno stato transitorio, temporaneamente impeditivo o limitativo dell’esecuzione di tutte quelle personali ed ordinarie attività, che prima del fatto lesivo potevano essere svolte senza difficoltà.
[2] Diversamente il sanitario incorrerebbe nel reato di omissione di referto disciplinato dall’art. 365 c.p. che prevede, testualmente, “[1] chiunque, avendo nell’esercizio di una professione sanitaria prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto pel quale si debba procedere d’ufficio, omette o ritarda di riferirne all’Autorità indicata nell’articolo 361, è punito con la multa fino a euro 516. [2] Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale.”
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