La Cassazione, con sentenza n. 24384/2018, ha ritenuto negligente ed imperito il medico che, sottovalutando la sintomatologia del paziente, abbia omesso di prescrivere accertamenti necessari ed abbia prescritto una terapia generica.
Per valutare la condotta del sanitario si deve verificare la conformità o meno del suo comportamento alle linee guida imposte ai sanitari dalla Legge Gelli-Bianco.
Nel merito i giudici avevano qualificano imprudente la condotta del medico ed avevano ritenuto irrilevante l’osservanza nella fattispecie delle linee-guida (o delle buone pratiche), che la difesa del sanitario aveva ritenuto non disattese nella sua condotta.
Secondo gli Ermellini le c.d. “buone pratiche clinico-assistenziali” – la valutazione delle quali è stata omessa dal giudice a quo – evocate da norme di legge (art. 3 legge 189/2012 e art. 6 legge 24/2017) anche se successive alla commissione del reato ascritto al medico sono per quest’ultimo più favorevoli e potenzialmente idonee a scriminarne (o a renderne non punibile) l’operato, in base ai criteri generali di cui all’art. 2 c.p.
La necessità di esaminare l’operato del medico in relazione alle best practices si poneva sia per valutarne la rilevanza penale (eventualmente) colposa sia per individuare il comportamento alternativo diligente che egli avrebbe dovuto tenere nel caso in oggetto.
Nella specie, la condotta tenuta dal medico – omessa o incompleta diagnosi, omessa prescrizione di accertamenti strumentali a fini diagnostici e prescrizione di un presidio terapeutico generico – sembra riconducibile in parte al profilo della negligenza ed in parte a quello dell’imperizia.
Imperizia che deve essere valutata non già considerando il soggetto nella sua complessiva attività e relativamente alle sue capacità professionali, ma avendo riguardo al singolo atto qualificato come colposo a lui addebitato.
La sentenza impugnata viene, dunque, cassata con rinvio alla Corte di merito.
Avv. Gian Carlo Soave.
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