L'Avv. Soave risponde: "Il consenso informato" - Il Broker.it

L’Avv. Soave risponde: “Il consenso informato”

Ben tornati dalle ferie e, come promesso, eccoci con il primo numero della rubrica, molto letta, dell’Avvocato Gian Carlo Soave.

La Cassazione, con ordinanza n. 9887/2020, ha affermato che, ai fini risarcitori per consenso informato, spetta al paziente provare che non avrebbe fatto l’intervento se fosse stato edotto correttamente.

Nel caso in esame, in primo e secondo grado, veniva rigettata la domanda di risarcimento di un soggetto nei confronti di una clinica e del medico, il quale aveva raccolto il suo consenso informato circa un’operazione al polso, pur considerando di perdere il 30% di funzionalità dell’articolazione.

A seguito dell’intervento, il paziente perdeva la funzionalità del polso di circa il 70%.

Egli decideva, quindi, di ricorrere in Cassazione evidenziando che la Corte non aveva considerato la mancanza di esaustività del consenso informato e che il medico, prospettando un esito troppo ottimistico dell’operazione, avrebbe violato il suo diritto ad autodeterminarsi liberamente.

Egli, infatti, sottolinea di avere fondato la sua richiesta risarcitoria non già sull’intervento ma sulla violazione del diritto all’autodeterminazione.

Gli Ermellini rigettano il ricorso ritenendo che, per fondare la richiesta di risarcimento per lesione del diritto all’autodeterminazione causata dall’incompleta informazione del medico, il paziente deve provare che, se correttamente informato, avrebbe fatto una scelta diversa.

La Cassazione afferma che “la omessa informazione assume di per sé carattere neutro sul piano eziologico, in quanto la rilevanza causale dell’inadempimento viene a dipendere indissolubilmente dalla alternativa “consenso/dissenso che qualifica detta omissione, laddove, in caso di presunto consenso, l’inadempimento, pur esistente, risulterebbe privo di alcuna incidenza deterministica sul risultato infausto dell’intervento, in quanto comunque voluto dal paziente; diversamente, in caso di presunto dissenso, assumendo invece efficienza causale sul risultato pregiudizievole, in quanto l’intervento terapeutico non sarebbe stato eseguito – e l’esito infausto non si sarebbe verificato – non essendo stato voluto dal paziente.”

Secondo la Suprema Corte, il giudice del merito ha individuato correttamente l’oggetto della richiesta risarcitoria e ha negato il contenuto ingannevole dell’informazione del medico.

In ogni caso l’indicazione contenuta nell’informativa di “un rischio di insuccesso quantificato percentualmente in termini di ulteriore invalidità, era idonea a consentire al paziente una adeguata ponderazione nella scelta.”

            Avv. Gian Carlo Soave.

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