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Nicola Massagrande – L’analisi dei rischi puri: il modello di business

Nell’articolo precedente abbiamo suddiviso e schematizzato i rischi puri aziendali secondo un framework adatto ad una successiva analisi finalizzata alla valutazione delle soluzioni di trasferimento verso il mercato assicurativo.

Il “gioco” è quindi afferrare le dinamiche con le quali Il flusso operativo, il processo dell’azienda, va ad interessare i vari rischi e darne successivamente un ordine di priorità secondo magnitudo. Come fare quindi per non lasciarsi sfuggire nulla?

Il modello di business aziendale rappresenta il vero cuore pulsante di ogni impresa; la “vision” – che guida l’imprenditore nelle sue scelte e la “mission” – che declina operativamente come attuarle, costituiscono l’ossatura del modello. Dobbiamo scovarle, dobbiamo metterle nero su bianco. Il focus si sposta quindi sulla figura dell’imprenditore, uomo/uomini che possiedono le informazioni privilegiate in relazione al nostro obbiettivo: comprendere PERCHE’ l’impresa vive, di COSA o CHI necessita in via prioritaria per vivere, DOVE sono i suoi punti “deboli” e COME crea operativamente il valore che il mercato le riconosce ogni giorno.

Volendoci rifare alla cara ISO31000 diremmo (siamo nella struttura di riferimento): “comprendere l’organizzazione e il suo contesto”, il che comporta comprenderne tra gli altri: obbiettivi, flussi informativi, interdipendenze ed interconnessioni, modelli adottati e cultura.

Lo strumento che possiamo riadattare alle nostre esigenze e che ci viene in aiuto è l’oramai famoso “business model canvas”. Sono passati oltre 15 anni da quando Alexander Osterwalder lo propose per la prima volta nel 2004 e, nel tempo, lo stesso modello ha subito svariate modifiche, personalizzazioni o adattamenti a tipologie specifiche di aziende. Letteralmente è un template visuale che mostra l’infrastruttura, i prodotti, i clienti, i fornitori ed altri elementi che contraddistinguono una impresa.

Propongo di seguito uno schema semplificato che rende più veloce ed intuitivo (senza pretese di esaustività) la compilazione del modello da parte del consulente:

1. PARTNER CHIAVE

 

 

 

 

 

Chi sono i fornitori chiave? (tipo di attività e motivazione)(valutare se esistono backup)
Chi sono i clienti chiave?(% di fatturato oltre il 25% o motivi commerciali o altro)
2. DISTRIBUZIONE

 

 Quali sono i canali di distribuzione?

 

 

 

(distributori, importatori esteri, agenti, gdo, negozi al minuto, grossisti)
3. RISORSE CHIAVE

 

 

 

 

 

 

 

 

Quali sono? (Es. utilities, brevetti, macchinari, materiali, persone, professionalità)Indicare anche persone chiave (vedi sezione in analisi) o colli di bottiglia
4. SEGMENTI DI CLIENTELA

 

 
Si cerca di individuare il mercato cui si fa riferimento, è possibile indicare una percentuale o note particolari

 

Mercato di massa

 

 
Mercato di nicchia

 

 
Mercato segmentato

 

 
Mercato diversificato 

 

In pochi minuti raccogliamo indicazioni preziose riguardo: fornitori/clienti, come l’azienda distribuisce i propri prodotti, quali risorse necessita in via prioritaria per prosperare, quali mercati affronta e quali sono i clienti target.

Utilizzando questa strategia si ottengono le basi qualitative per introdurci nel processo vero e proprio e relativa valutazione dei rischi (avrebbe avuto senso farlo senza sapere, ad esempio, che tale azienda ha un unico cliente che rappresenta l’80% del proprio fatturato?).

Il processo è schematizzabile attraverso un semplice diagramma di flusso a blocchi (se ne possono trovare per confronto nel Documento di valutazione dei rischi ex D. Lgs 81/08 – da farsi preventivamente inoltrare) ove si evidenziano i vari passaggi tra input e output, comprese eventuali lavorazioni esterne, installazioni presso terzi, attività accessorie/complementari ecc…

Terminato questo aspetto, a completare l’analisi del contesto, effettuiamo il c.d. “self assessment” o autovalutazione dell’imprenditore con riferimento ai rischi prioritari che questi percepisce per la propria azienda. In questa fase non è importante quali siano i rischi che scaturiscono dall’intervista (magari rischi strategici, di compliance o finanziari), gli aspetti fondamentali qui sono:

  1. Comprendere quanto la persona che abbiamo di fronte è abituata a ragionare sui rischi
  2. Se possono esserci punti di contatto (o peggio, incoerenze) importanti tra le sue risposte e l’analisi precedentemente svolta
  3. Se e quanto questi rischi risultano trasferibili, ovviamente per includerli nelle valutazioni.

Tramite questi brevi passaggi saremo in grado (sempre qualitativamente) di avere una situazione sufficientemente chiara di un piccolo contesto industriale – a questo ci stiamo riferendo – e proseguire con aspetti più quantitativi, oggetto del prossimo post.

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