Crac (annunciato) del fondo per le vittime della strada - Il Broker.it

Crac (annunciato) del fondo per le vittime della strada

Da 47 anni tutela chi è vittima di pirati della strada o chi ha incidenti con veicoli non assicurati, ma la storia del Fondo nazionale Vittime della strada è molto vicina al capolinea: un rosso strutturale di circa 150 milioni l’anno, l’azzeramento del patrimonio nel 2019 e un inabissamento progressivo, in assenza di profonde correzioni di rotta, che proietta lo squilibrio a -800 milioni nel 2026. Un default annunciato, messo nero su bianco da Consap, la concessionaria servizi assicurativi pubblici, spa controllata dal ministero delle Finanze cui fa capo il fondo di garanzia. Un allarme passato sotto silenzio e, fino a oggi, rimasto inascoltato.
Le radici della crisi
Le ragioni della crisi, si legge nel rapporto, sono nella sostanza tre. La prima è la diminuzione complessiva delle entrate: il Fondo, che ogni anno eroga tra i 300 e i 400 milioni di euro in risarcimenti, è alimentato quasi del tutto con un prelievo dai premi pagati da chi stipula una Rc auto; da anni le assicurazioni sono più a buon mercato e uno degli effetti è che la quota prelevata tra il 2012 e il 2015 è crollata del 20%: trattenere il 2,5% non basta più.
La seconda è l’aumento degli evasori. Si stima che circa il 12% dei veicoli in Italia circoli senza assicurazione, quota che raggiunge picchi spaventosi nel Mezzogiorno, dove, secondo le elaborazioni della Motorizzazione, in alcuni comuni si tocca il 50%. Questo causa un doppio danno: meno entrate per il Fondo e una raffica di incidenti in più da risarcire.
A questo si somma un terzo fattore: l’aumento delle frodi. La questione viene affrontata in un capitolo a parte della relazione, dal titolo “Il caso Campania”, regione in cui finisce il 41% dei quasi 200 milioni di euro pagati dal Fondo (dato 2015), e in cui si concentrano il 65% dei casi considerati a rischio frode. Non solo: il 47,6% di tutte le denunce viene presentato in Campania, che al contrario pesa per il 7,7% sul mercato assicurativo “ordinario”. Una sproporzione che, pur in misura più contenuta, è presente anche in Calabria, Puglia e Sicilia. Ancora, il 57% delle spese legali a carico del Fondo è risucchiato dallo stesso territorio per cause perse. Sommando tutte le voci, la Campania pesa sull’indice dei costi del Fondo (combined ratio) per il 55%.
Tutti fatti che concorrono al deficit e che vanno incrociati con almeno altre due circostanze: il numero di incidenti trattati è rimasto costante e sono quasi azzerate le sanzioni alle compagnie irrogate dall’Ivass, l’Istituto di vigilanza sulle assicurazioni, che contribuivano, pur in piccola parte, alle entrate del Fondo.
Aumenti in vista
La cura principale, per i tecnici di Consap, è una medicina amara per gli utenti della strada: alzare il prelievo a carico degli assicurati e portarlo al 4%, il massimo consentito sulla carta. Secondo le proiezioni, i bilanci non tornerebbero in pari, ma la paralisi verrebbe quantomeno rimandata: «Possiamo far finta di non vedere il problema, ma non ci sono molte altre strade», dice una fonte che ha lavorato al rapporto. La misura varrebbe circa 210 milioni l’anno di maggiore introiti ed è vista come imprescindibile. Accanto a questa, Consap ha messo a punto una strategia per incidere sui meccanismi di funzionamento interni.
Tuttavia i tempi di questa operazione non sono immediati: fino ai tre anni per realizzarli e cinque per apprezzarne gli effetti. E, soprattutto, questi ritocchi hanno, secondo le stime, un impatto economico relativo rispetto alla montagna di rosso da scalare. «Tutte le iniziative rimesse alla nostra attività di impresa – sottolineano i vertici di Consap – sono state avviate o sono in corso di implementazione. Ma non basteranno senza modificare l’aliquota». Per la Concessionaria il ritocco del prelievo peserebbe tra i 4 e 5 euro per la grande maggioranza degli assicurati italiani: in dettaglio, la media sarebbe di 4,34 euro al Nord, 5,11 al Centro e 5,03 al Sud. Questa ipotesi, però, ha incontrato un’opposizione durissima da parte delle associazioni dei consumatori.
FONTE: Il Secolo XIX

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