Si segnala la sentenza n. 29759/2017 con la quale la Corte di Cassazione ha stabilito che chi subisce una lesione che ne cagiona la morte, anche a distanza di breve tempo, patisce un danno biologico di natura psichica quando abbia lucidamente percepito l’approssimarsi dell’esito letale dell’occorso: l’entità del danno non dipende dalla durata dell’intervallo tra lesione e morte ma dall’intensità della sofferenza che la vittima ha provato.
Nella liquidazione del danno – il cui risarcimento può essere reclamato dagli eredi – il giudice che applica i criteri tabellari o a punto deve attuare la c.d. personalizzazione, ovverosia adeguarne le risultanze al caso concreto.
Nella fattispecie gli Ermellini hanno cassato con rinvio la sentenza di secondo grado che aveva rigettato la domanda di risarcimento degli eredi del de cuius, sostenendo la carenza di allegazione e di prova circa la condizione di quest’ultimo nel periodo di tempo intercorso tra manifestazione della malattia e decesso.
Si precisa che il danno psichico si configura quale lesione della salute psichica dell’individuo ovverosia in un’alterazione patologica dell’integrità psichica e dell’equilibrio di personalità, provocata da un evento traumatico di natura dolosa o colposa che limita notevolmente ed in maniera durevole l’esplicazione di alcuni aspetti della personalità nel regolare svolgimento della vita quotidiana.
Avv. Patricia Russo

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